a cura della dott.ssa Alessia Leugio – Psicologa, mental coaching
Sport è una parola inglese (apparsa nel 1532) che significa divertimento. La parola è a sua volta un’abbreviazione dal francese antico della voce “desport”, da cui derivano lo spagnolo “deporte” e l’italiano “diporto” (svago, divertimento, ricreazione). La voce inglese sport e il suo aggettivo sportivo sono poi entrati in Italia nel XIX secolo, attraverso il francese sport (1828) e sportif (1862) (Focus, giugno 2002).
Lo sport si propone così con una funzione “moratoria” e di “distensione” dai problemi esterni e fattori di stress. Il “principio di realtà” cede il posto al “principio di piacere”, determinando così un effetto rivitalizzante al corpo e alla mente.
Spesso l’attività motoria e sportiva è strettamente associata solo all’attività fisica e corporea, attraverso un allenamento costante, regolare e pianificato. Ma per raggiungere una prestazione ottimale è necessario considerare mente e corpo come sinergicamente connessi nel percorso dell’allenamento.
L’aspetto psicologico ha un ruolo importante nell’allenamento motorio.
Dallo sport può derivare la stima di sé; e più uno sportivo sarà capace di connettere buone performance mentali e fisiche, che permettano di centrare gli obiettivi prefissati, tanto sarà capace di costruire un’immagine di sé competente.
Spesso gli atleti attribuiscono al risultato di un obiettivo il ruolo di conferma o disconferma del proprio valore personale, questo influenza l’autostima e il senso di autoefficacia.
Il senso di autoefficacia, meglio nota come autoefficacia percepita Albert Bandura (1986) corrisponde alla consapevolezza di essere capace di dominare specifiche attività, situazioni o aspetti del proprio funzionamento psicologico o sociale. In altre parole, è la percezione che abbiamo di noi stessi di sapere di essere in grado di fare, sentire, esprimere, essere o divenire qualcosa. Da queste convinzioni e credenze su se stessi derivano valutazioni che portano alla creazioni di mete o di obiettivi.
Gli scopi che desideriamo raggiungere derivano, dunque, dal sapere esattamente cosa siamo in grado di fare e con quali mezzi. Questo insieme di credenze, immagini di sé, ricordi di sconfitte e vittorie influenzano la performance, modificando sia l’esito di un evento che la probabilità che quello specifico compito od obiettivo venga prefissato in futuro (bandura,1997).
L’autoefficacia è anche una parte costituente il concetto di autostima, rivolta a una serie di convinzioni che il soggetto ha di se stesso. Il costrutto di autostima e di autoefficacia sono intimamente correlati tra di loro, al punto che si influenzano e determinano reciprocamente. Esiste una sorta di relazione duale, in cui all’aumentare dell’uno aumenta l’altro e viceversa. Un altro costrutto che condiziona la prestazione sportiva è l ansia: nello sport viene descritta come un decremento della performance atletica dovuta a stressor percepiti (Pennati, 2015 ). L’ansia oltre ad essere un’espressione emotiva e di attivazione, si manifesta a livello somatico attraverso una rigidità muscolare. Quest’ ultima segnale di uno stato di difesa, è la risposta a uno stimolo (esterno o interno) di pericolo che si mostra attraverso una rigidità muscolare. Si presenta cosi una condizione negativa e disfunzionale; in quanto la rigidità del tono muscolare riduce l’agilità e la prontezza del movimento. L’attenzione e la concentrazione sono cosi messe “fuori gioco“, influenzando la connessione mente corpo, e alla mente sopraggiungono pensieri negativi e alterati. L’ansia è un’attivazione (arousal) che può essere di varia intensità: alta o bassa. Nel primo caso l’atleta. è dominato dallo stato di agitazione e tensione, e non riuscendo a controllare lo stato emotivo l’esito della gara può essere cosi compromesso. Nel secondo caso, un’intensità bassa determina senso di sfiducia, diminuzione della motivazione e della concentrazione, l’atleta non è “proiettato” e sembra vivere passivamente l’evento.
L’obiettivo è quello di lavorare su un’ottimizzazione dell’arousal, che deve essere equilibrato e in armonia, tanto da riuscire a vivere pienamente il “qui ed ora”. L’allenamento mentale diviene così uno strumento necessario da utilizzare per ottimizzare le proprie prestazioni sportive. Attraverso una tecnica o una serie di tecniche l’atleta, impara ad “ascoltarsi”, ponendo particolare attenzione alle modificazioni fisiche, prima, durante e dopo competizione. Riconoscere se il corpo è in tensione o rilassato, permette di attivare strategie di rilassamento (ad esempio tecnica di rilassamento di Jacobson) per raggiungere una concentrazione ottimale.
Le stesse attivazioni emotive saranno maggiormente controllate tanto da saper gestire i pensieri legati alla gara (esempio tecnica del self talk). Per ridurre l’ansia e riuscire ad ottenere maggiori successi, è utile prestabilire obiettivi e sottobiettivi che rispondano al modello smart (tecnica del goal setting). Dall’acronimo derivano le caratteristiche degli obiettivi che devono essere:
L’obiettivo può essere rinegoziato nel corso del tempo, per renderlo attinente alle risorse a agli eventi.
Visualizzare il traguardo è utile per raggiungere una condizione di rilassamento; visualizzare significa rappresentare mentalmente ogni singolo dettaglio legato alla gara o prestazione (odori, colori, emozioni). Questa tecnica dell’imagery, aiuta a risolvere imprevisti, ad attivare diverse strategia di problem solving, ad aumentare concentrazione e motivazione.
La concentrazione è favorita anche dall’assenza di stimolazioni non necessarie alla prestazione (distrazioni) quantunque sia molto allenabile anche la capacità di escludere dal proprio sistema percettivo stimolazioni non pertinenti. Con l’utilizzo di tecniche di rilassamento la capacità di concentrarsi è altamente allenabile anche in ambienti distraenti; con la giusta gradualità (proprio come nell’esercizio fisico) partendo da situazioni di isolamento e passando man mano a situazioni con interferenze si può giungere a concentrarsi anche in mezzo al caos più totale.
L’atleta è l’unico protagonista che attraverso la visualizzazione, si proietta in prima persona nel processo che ha una meta specifica, e si focalizza con “l’occhio della mente” solo su ciò che si vuole “vedere” con più chiarezza. Il miglioramento della prestazione sportiva deve essere visto come un processo, e come tale è segnato da mete, piani da percorrere con entusiasmo e passione, così da poter vivere pienamente il “qui ed ora”. L’allenamento mentale deve essere scandito da un tempo prestabilito, e solo con l’utilizzo costante di tecniche, queste permettono alla nuova abilità di diventare abitudine. Sostituire pensieri disfunzionali, concentrarsi sulle proprie risorse e capacità determinano un pensiero positivo, che è la chiave del successo in ogni ambito della vita, incluso quello sportivo.
Bibliografia
Bandura a. (1997), Self-efficacy; the exercise of control. New York, W.H. Freeman
Focus (2002), “Quale origine ha la parola “sport”?”, Cultura.
Jacobson E. (1952), L’arte del rilassamento. Casini, Roma.,
Latham E.A., Locke G.P. (1985). The application of goal setting to sports. Journal of Sport Psychology,7,205-222.
Murphy S.M. (1992), Models of imagery in Sport Psychology: a review, in “Journal of mental imagenary”.14.pp.153-172.
Schultz J.H. (1968), Il training autogeno: esercizi inferiori, vol.1, Feltrinelli, Milano.
Shakti Gawain (2009), Visualizzazione creativa, L’Età dell’Acquario, Torino.
Pennati V. (2015), Tecniche mentali per il potenziamento della prestazione sportiva, Edizioni FerrariSinibaldi, Milano.
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